Azalai- le carovane del sale : MALI

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Azalai- le carovane del sale

Timbuktu

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Azalai- le carovane del sale

Località: Timbuktu
Stato: MALI (ML)
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AZALAÏ: LE CAROVANE DEL SALE
Testo di Giosuè Bolis e Myriam Butti

Un viaggio nell'immensità del deserto,
dalla mitica Timbuktu alle miniere di Taudenni.
Un viaggio dai ritmi antichi e immutati,
a dorso di cammello, lungo le vie secolari
delle carovane del sale, in Mali.
E due "toubab", due bianchi, che ne hanno
condiviso le fatiche e le emozioni, i rischi e il fascino:
una grande avventura umana
nel cuore dell'Africa misteriosa e seducente.

 

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in viaggio verso Taudenni

"Un tempo, un ragazzo per diventare uomo doveva andare a Taudenni", ci confida un giovane amico del Mali. "E tu ci andresti?", avevamo chiesto. Il ragazzo si è messo a ridere: "Siete pazzi? Quel viaggio è un inferno!".
Il Mali a nord di Timbuktu, Arawan, Taudenni: nomi che evocano un mondo sconosciuto e affascinante, accomunati da un denominatore comune, il deserto, con le sue oasi, le carovane, i nomadi e i Tuareg. Un mondo misterioso e seducente, ma anche terribile e severo, con il sole implacabile durante il giorno e il freddo pungente della notte. "È la legge del deserto - si tramandano i tuareg -. Non hai che da volgere la tua fronte al cielo per ricevere il sole e poi le stelle. E sarai contento".
In Mali le chiamano Azalaï. Un tempo erano due le più importanti: una, quella di "Alâwa", si svolgeva nella stagione fredda, tra novembre e dicembre; l'altra quella di "Tifiski", nella stagione calda, tra aprile e maggio. Ancora oggi, alla vigilia di ogni partenza, la mitica Timbuktu, la "Misteriosa", città di moschee e di biblioteche, che con la sua università e il suo commercio di oro è entrata nella leggenda prima di cedere a un'inesorabile decadenza, si anima dei preparativi delle carovane, pronte ad attraversare il deserto per dirigersi, circa 700 chilometri più a nord, verso Taudenni.
Tappa d'obbligo ancor oggi per le carovane provenienti dal deserto, Timbuktu resta una delle città-mito più raccontate e sognate del mondo. Merito del suo splendido e illuminato passato, quando, vera regina delle sabbie, costituiva il centro culturale, commerciale e religioso più importante e ricco delle regioni bagnate dal Niger. Il commercio del sale conserva un sapore preistorico. Materia prima, utilizzata così come viene raccolta, non richiede impianti costosi, ma attrezzi elementari: mani, piedi, zappe, corde, stuoie, tronchi scavati. Viene venduto in lastre da trenta chili, il venditore ne riceve spesso in cambio capre, zucchero, tè, verdura o sacchi di miglio.

Per migliaia di persone (minatori, proprietari delle saline, carovanieri, commercianti) e per le loro famiglie esso rappresenta l'unica fonte di reddito. Il valore del sale estratto annualmente dalle miniere di Taudenni era, negli anni Ottanta, poco meno di due miliardi di lire, equivalente in Mali al reddito medio annuo di oltre cinquemila persone.

"Vous êtes fous, siete dei pazzi", ci ripeteva la gente del posto: "è troppo faticoso per due "toubab", due bianchi: quaranta giorni di vita dura, senza acqua potabile, senza villaggi, solo pianure sabbiose e la possibilità di non tornare più".

La carovana, in effetti, è implacabile come il territorio che attraversa. Ogni giorno percorre da quaranta a cinquanta chilometri. Non si ferma se qualcuno ha i piedi doloranti, ignora i dolori di testa, i crampi allo stomaco, gli attacchi di dissenteria. Alla fine di ogni giornata i cammelli vanno scaricati. La mattina gli animali devono essere radunati e caricati; per farlo occorre alzarsi all'alba per poi mettersi in marcia e fermarsi molto dopo il tramonto. Di soste per il pranzo non se ne parla. Mentre si cammina si trangugia la "crème", un impasto di acqua, miglio e di frutto di baobab polverizzato. Il capo carovana prepara il tè seduto sul suo cammello. La sera, ma più spesso di notte, si aspetta con impazienza che venga cotto il riso, condito con olio vegetale. Si beve tè verde cinese, lasciato bollire a lungo e con un'abbondante dose di zucchero. Prima, però, ci si deve preoccupare di raccogliere una scorta abbondante di sterco secco di cammello, che spesso è l'unico combustibile a disposizione.

L'acqua è un bene prezioso e raro. Spesso non è sufficiente per lavarsi: la si usa per dissetarsi, per preparare il tè e cucinare.

Nella stagione delle carovane, d'inverno, le notti sono gelide. I nomadi dormono accanto al fuoco, coperti con tutto quello che hanno a disposizione.

A complicare le cose, spesso ci si mettono anche i cammelli. La loro apparente solennità nasconde un carattere testardo, bizzoso e ribelle. Il cammello passa molto tempo a protestare, e lo fa muggendo, gridando, imbizzarrendosi, cercando di mordere e scalciare. Durante la marcia gli animali più giovani e meno docili cercano di liberarsi dei carichi, e spesso ci riescono, costringendo gli uomini della carovana a una doppia fatica. A volte, per ricondurli alla ragione è necessario gettargli una manciata di sabbia in bocca o rifilargli un pugno ben assestato in testa. Passandogli accanto, inoltre, è sempre utile parlare ad alta voce, per non essere scambiati per un animale pericoloso e ripugnante e rimediare così un bel calcio.


Taudenni - "Tau", arrivo, e "Denni", partenza - condensa già nel nome il senso della sua inospitalità. Il paesaggio è irreale, senza tracce di vegetazione: un regno minerale inadatto per qualsiasi essere vivente e probabilmente uno dei posti più tristi della terra.
Originariamente, vi si trovava un lago salmastro dove, circa seimila anni fa, si sono depositati gli strati di sale. Lo sfruttamento delle miniere ebbe inizio nel XVI secolo. Per anni il "Caid", il capo tradizionale, fu responsabile della sicurezza dei lavoratori, della difesa contro le razzie, dell'aiuto agli ammalati e di tutti i collegamenti con il resto del mondo. In cambio, riceveva una percentuale di lastre di sale. Taudenni era anche sede di una colonia penale, e per questo le miniere furono vietate agli stranieri sino al 1992. Oggi vi lavorano circa trecento persone, reclutate a Timbuktu e Arawan. Ogni lavoratore deve estrarre, secondo il contratto stipulato, dalle quattro alle otto lastre al giorno, un lavoro faticosissimo per il quale si serve unicamente di piccole zappe. Lo stipendio è di circa 150 mila lire al mese, più vitto e alloggio.
Questi uomini, avvolti in stracci e cappotti logori, completamente ricoperti di polvere, ci accolgono con cordialità. Uno di loro ci prepara il tè, ma l'acqua qui è inevitabilmente salata. Lavora qui dal 1958. "Taudenni è il nulla - dice - è solo un grande nome".
Quando cala la notte, le persone si muovono come fantasmi sotto la pallida luce della luna: le miniere abbandonate e ricoperte di sabbia sembrano enormi tombe. In lontananza, una radio accesa e le voci dei minatori ci rassicurano che anche in questo girone infernale si può vivere.

Dopo tre giorni di permanenza a Taudenni, riprendiamo la via del ritorno: ancora lunghe ore di marcia sotto il sole cocente, la stanchezza, la fame, la sete, prima di rivedere di nuovo Timbuktu.
La carovana di sale si ferma, ma le lastre proseguono il loro cammino verso i mercati di Mopti e Djenné. Le accompagniamo lungo il Niger su una vecchia "pinasse", un grande barcone, che scivola sul fiume ampio e pigro.
Ci sembra di non poter abbandonare quel sale, che abbiamo seguito in un lungo cammino, iniziato nel deserto e finito nel cuore dell'Africa nera.
Nessuna attrezzatura speciale, alimentazione sofisticata, scorte di acqua, abbigliamento tecnico, telefono satellitare ci hanno sorretto in questo viaggio. Questo ha dato ancora più valore alla nostra esperienza, a questa profonda immedesimazione nella vita quotidiana delle Azalaï: stesso ritmo, stesso cibo, stessa acqua, stessi disagi. Solo in questo modo abbiamo potuto conoscere e apprezzare fino in fondo gli uomini del deserto, la loro tenacia, la loro dignità, il loro senso della vita e della morte. Al punto che, alla fine di questa grande avventura umana, ci sentiamo di far nostre le parole di Ibn Battuta, infaticabile viaggiatore arabo del XIV secolo: "Chi non viaggia - scrive - non conosce il valore degli uomini".
Le nostre esperienze di viaggio con le carovane sono raccolte in un libro AZALAI - Il tempo delle carovane il cui ricavato sostiene progetti in Niger e in Mali dell'associazione Les Cultures 0341-284828
www.lescultures.it

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in viaggio verso Taudenni


"Un tempo, un ragazzo per diventare uomo doveva andare a Taudenni", ci confida un giovane amico del Mali. "E tu ci andresti?", avevamo chiesto. Il ragazzo si è messo a ridere: "Siete pazzi? Quel viaggio è un inferno!".
Il Mali a nord di Timbuktu, Arawan, Taudenni: nomi che evocano un mondo sconosciuto e affascinante, accomunati da un denominatore comune, il deserto, con le sue oasi, le carovane, i nomadi e i Tuareg. Un mondo misterioso e seducente, ma anche terribile e severo, con il sole implacabile durante il giorno e il freddo pungente della notte. "È la legge del deserto - si tramandano i tuareg -. Non hai che da volgere la tua fronte al cielo per ricevere il sole e poi le stelle. E sarai contento".
In Mali le chiamano Azalaï. Un tempo erano due le più importanti: una, quella di "Alâwa", si svolgeva nella stagione fredda, tra novembre e dicembre; l'altra quella di "Tifiski", nella stagione calda, tra aprile e maggio. Ancora oggi, alla vigilia di ogni partenza, la mitica Timbuktu, la "Misteriosa", città di moschee e di biblioteche, che con la sua università e il suo commercio di oro è entrata nella leggenda prima di cedere a un'inesorabile decadenza, si anima dei preparativi delle carovane, pronte ad attraversare il deserto per dirigersi, circa 700 chilometri più a nord, verso Taudenni.
Tappa d'obbligo ancor oggi per le carovane provenienti dal deserto, Timbuktu resta una delle città-mito più raccontate e sognate del mondo. Merito del suo splendido e illuminato passato, quando, vera regina delle sabbie, costituiva il centro culturale, commerciale e religioso più importante e ricco delle regioni bagnate dal Niger. Il commercio del sale conserva un sapore preistorico. Materia prima, utilizzata così come viene raccolta, non richiede impianti costosi, ma attrezzi elementari: mani, piedi, zappe, corde, stuoie, tronchi scavati. Viene venduto in lastre da trenta chili, il venditore ne riceve spesso in cambio capre, zucchero, tè, verdura o sacchi di miglio.

Per migliaia di persone (minatori, proprietari delle saline, carovanieri, commercianti) e per le loro famiglie esso rappresenta l'unica fonte di reddito. Il valore del sale estratto annualmente dalle miniere di Taudenni era, negli anni Ottanta, poco meno di due miliardi di lire, equivalente in Mali al reddito medio annuo di oltre cinquemila persone.




Unirsi a una carovana del sale, sapendo di avere di fronte a sé molte centinaia di chilometri da percorrere prevalentemente a piedi, è una scelta che si può compiere solo dimenticando - con un pizzico di follia - il buon senso quotidiano, che ci costringe spesso all'immobilità fisica e mentale.

"Vous êtes fous, siete dei pazzi", ci ripeteva la gente del posto: "è troppo faticoso per due "toubab", due bianchi: quaranta giorni di vita dura, senza acqua potabile, senza villaggi, solo pianure sabbiose e la possibilità di non tornare più".

La carovana, in effetti, è implacabile come il territorio che attraversa. Ogni giorno percorre da quaranta a cinquanta chilometri. Non si ferma se qualcuno ha i piedi doloranti, ignora i dolori di testa, i crampi allo stomaco, gli attacchi di dissenteria. Alla fine di ogni giornata i cammelli vanno scaricati. La mattina gli animali devono essere radunati e caricati; per farlo occorre alzarsi all'alba per poi mettersi in marcia e fermarsi molto dopo il tramonto. Di soste per il pranzo non se ne parla. Mentre si cammina si trangugia la "crème", un impasto di acqua, miglio e di frutto di baobab polverizzato. Il capo carovana prepara il tè seduto sul suo cammello. La sera, ma più spesso di notte, si aspetta con impazienza che venga cotto il riso, condito con olio vegetale. Si beve tè verde cinese, lasciato bollire a lungo e con un'abbondante dose di zucchero. Prima, però, ci si deve preoccupare di raccogliere una scorta abbondante di sterco secco di cammello, che spesso è l'unico combustibile a disposizione.

L'acqua è un bene prezioso e raro. Spesso non è sufficiente per lavarsi: la si usa per dissetarsi, per preparare il tè e cucinare.

Nella stagione delle carovane, d'inverno, le notti sono gelide. I nomadi dormono accanto al fuoco, coperti con tutto quello che hanno a disposizione.

A complicare le cose, spesso ci si mettono anche i cammelli. La loro apparente solennità nasconde un carattere testardo, bizzoso e ribelle. Il cammello passa molto tempo a protestare, e lo fa muggendo, gridando, imbizzarrendosi, cercando di mordere e scalciare. Durante la marcia gli animali più giovani e meno docili cercano di liberarsi dei carichi, e spesso ci riescono, costringendo gli uomini della carovana a una doppia fatica. A volte, per ricondurli alla ragione è necessario gettargli una manciata di sabbia in bocca o rifilargli un pugno ben assestato in testa. Passandogli accanto, inoltre, è sempre utile parlare ad alta voce, per non essere scambiati per un animale pericoloso e ripugnante e rimediare così un bel calcio.


Taudenni - "Tau", arrivo, e "Denni", partenza - condensa già nel nome il senso della sua inospitalità. Il paesaggio è irreale, senza tracce di vegetazione: un regno minerale inadatto per qualsiasi essere vivente e probabilmente uno dei posti più tristi della terra.
Originariamente, vi si trovava un lago salmastro dove, circa seimila anni fa, si sono depositati gli strati di sale. Lo sfruttamento delle miniere ebbe inizio nel XVI secolo. Per anni il "Caid", il capo tradizionale, fu responsabile della sicurezza dei lavoratori, della difesa contro le razzie, dell'aiuto agli ammalati e di tutti i collegamenti con il resto del mondo. In cambio, riceveva una percentuale di lastre di sale. Taudenni era anche sede di una colonia penale, e per questo le miniere furono vietate agli stranieri sino al 1992. Oggi vi lavorano circa trecento persone, reclutate a Timbuktu e Arawan. Ogni lavoratore deve estrarre, secondo il contratto stipulato, dalle quattro alle otto lastre al giorno, un lavoro faticosissimo per il quale si serve unicamente di piccole zappe. Lo stipendio è di circa 150 mila lire al mese, più vitto e alloggio.
Questi uomini, avvolti in stracci e cappotti logori, completamente ricoperti di polvere, ci accolgono con cordialità. Uno di loro ci prepara il tè, ma l'acqua qui è inevitabilmente salata. Lavora qui dal 1958. "Taudenni è il nulla - dice - è solo un grande nome".
Quando cala la notte, le persone si muovono come fantasmi sotto la pallida luce della luna: le miniere abbandonate e ricoperte di sabbia sembrano enormi tombe. In lontananza, una radio accesa e le voci dei minatori ci rassicurano che anche in questo girone infernale si può vivere.

Dopo tre giorni di permanenza a Taudenni, riprendiamo la via del ritorno: ancora lunghe ore di marcia sotto il sole cocente, la stanchezza, la fame, la sete, prima di rivedere di nuovo Timbuktu.
La carovana di sale si ferma, ma le lastre proseguono il loro cammino verso i mercati di Mopti e Djenné. Le accompagniamo lungo il Niger su una vecchia "pinasse", un grande barcone, che scivola sul fiume ampio e pigro.
Ci sembra di non poter abbandonare quel sale, che abbiamo seguito in un lungo cammino, iniziato nel deserto e finito nel cuore dell'Africa nera.
Nessuna attrezzatura speciale, alimentazione sofisticata, scorte di acqua, abbigliamento tecnico, telefono satellitare ci hanno sorretto in questo viaggio. Questo ha dato ancora più valore alla nostra esperienza, a questa profonda immedesimazione nella vita quotidiana delle Azalaï: stesso ritmo, stesso cibo, stessa acqua, stessi disagi. Solo in questo modo abbiamo potuto conoscere e apprezzare fino in fondo gli uomini del deserto, la loro tenacia, la loro dignità, il loro senso della vita e della morte. Al punto che, alla fine di questa grande avventura umana, ci sentiamo di far nostre le parole di Ibn Battuta, infaticabile viaggiatore arabo del XIV secolo: "Chi non viaggia - scrive - non conosce il valore degli uomini".


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