STORIA DI UN VIAGGIO TRA IL POPOLO INDIANO- KOLKATA - 1 parte : INDIA

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STORIA DI UN VIAGGIO TRA IL POPOLO INDIANO- KOLKATA - 1 parte

Calcutta

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STORIA DI UN VIAGGIO TRA IL POPOLO INDIANO- KOLKATA - 1 parte

Località: Calcutta
Regione: West Bengala
Stato: INDIA (IN)
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STORIA DI UN VIAGGIO TRA IL POPOLO INDIANO.

"Cultura è virtù, verità è sapienza"

31 LUGLIO 2004: DESTINAZIONE India

Tutto comincia nel 2002 quando, tornando dal nostro primo viaggio da un isola incantevole come Bali, abbiamo conosciuto sull'aereo due viaggiatori che ci parlano della loro esperienza del mondo....ci raccontano dell'India...ci dicono che è il posto che più li ha colpiti, che più li è rimasto nel cuore e nella memoria, ma ci avvertono che per andare in India "ci vuole stomaco". Così decidiamo di aspettare; di fare prima un viaggio "tranquillo", nel 2001, in Messico, Guatemala e Belize e di preparare con calma il nostro viaggio in India.
Dall'estate del 2002 all'estate del 2004 ho letto tantissimo sull'India, dalla storia alla religione, dai racconti di viaggio alle testimonianze di volontariato. Leggendo non avevo trovato nulla che davvero mi aveva colpito.....non sentivo che avrei trovato bellezze artistiche imponenti; a volte non capivo perché per tantissimi viaggiatori il viaggio in India è così speciale....perchè, per molti, tornare in India è obbligo, necessità e virtù...
Ho letto una testimonianza di una ragazza che era andata in India a fare volontariato dalle missionarie della carità a Calcutta. La conosco e me ne parla con un tale entusiasmo che decido che questo viaggio doveva essere un viaggio per capire, un viaggio diverso.
Infine prima di partire ho letto "La città della gioa". In cuor mio spero che quella raccontata nel libro sia una città che non esiste...in cuor mio mi chiedo se sono pronta a vedere...
Partiamo il 31 luglio: destinazione Calcutta.
Arriviamo a Calcutta alle 8.00 del 1 AGOSTO (domenica mattina).
Un caldo torrido, un umidità al 90% ci levano il fiato; nella strada che separa l'aeroporto al nostro hotel in Sudder Street, Paolo dice: "qui non ci si può stare più di due giorni"...Il traffico è rovente; sulle strade si intrecciano, in modo del tutto incomprensibile, mucche, tori, bufali, maiali, cani, topi, risciò walla, ciclorisciò, motorisciò, auto, camion, motorini e autobus.
Arriviamo in Sudder Street al nostro hotel, ci facciamo una doccia e andiamo a mangiare. Ci rendiamo immediatamente conto che è pieno di volontari di ogni parte del mondo: italiani, spagnoli, giapponesi. Parlo con due ragazzi italiani con cui mi accordo subito per iniziare il mio volontariato alle case di Madre Teresa il giorno dopo.
Il pomeriggio decidiamo di andare a vedere la Casa Madre.
All'andata prendiamo un taxi mentre, per il ritorno, decidiamo di farci una "passeggiata". Appena arriviamo alla casa madre arriva una ragazza su un risciò che trasporta una donna indù in condizioni critiche, la suora li manda direttamente a Kalighat: la casa dei morenti. La scena ci gela il cuore. Non ci diciamo niente.
La casa di Madre Teresa è una cosa meravigliosa; ci sono suore che dispensano sorrisi a chiunque e ragazzi volontari da tutto il mondo. Sono emozionata.
Dopo un' oretta riprendiamo la via del ritorno, al tramonto.
Calcutta a quest'ora è stanca, è sfinita dal caldo....sulle strade si addormenta di tutto; si addormentano non so quante persone, così senza niente...senza un letto, senza un tetto, senza un riparo. Per terra, come i cani. I più fortunati dormono sul risciò: quel risciò che, a volte, gli porta da mangiare ma che li farà vivere molto poco; quel risciò che loro benedicono ogni giorno e che io maledico ogni giorno perché annulla la dignità umana.
Questa è l'unica città dell'India dove ci sono ancora gli uomini risciò.
Portano quel carretto con la forza della voglia di vivere ad ogni costo.
Non sorridono: sono seri e fieri.
Non parlano; corrono su e giù per le vie di Calcutta: corrono a piedi nudi su un un asfalto rovente.
La sera mangiamo e andiamo a dormire; dobbiamo smaltire il fuso orario e io la mattina dopo ho la sveglia alle 5 per andare alla casa madre.

2 AGOSTO 2004: Calcutta

Mi alzo alle 5 e mi incontro con due ragazzi per andare alla Casa Madre.
Percorriamo la strada a piedi e osservo Calcutta quando si sveglia: la gente che si alza dal marciapiede, procede a passo lento ancora assonnata verso le fogne e fa una vigorosa doccia, poi passa alle latrine, che di umano non hanno niente, ed infine si lava i denti sempre con la stessa acqua e con un miserabile bastoncino di legno.
I bambini giocano con qualsiasi cosa; questa gente è serena...i bambini ridono e scherzano.
Lo scenario è per me surreale.
Un gruppetto di persone prende d'assalto il camion dei rifiuti e rovista per trovare qualcosa; riempie il carretto di una serie di rifiuti, evidentemente riutilizzabili, e si avvicina alle sue baracche.
Purtroppo per vedere gli slums non c'è bisogno di andare alla città della gioia; purtroppo qui gli slums appaiono quando meno te l'aspetti.
Io guardo tutto.
Sono arrabbiata con il mondo intero che permette lo scempio della dignità umana.
Ben presto mi renderò conto che invece devo solo imparare da questa gente che non ha niente, che la dignità è nell'animo di chi può donare solo un sorriso e lo dona, di chi soffre ma sopporta la sua croce, di chi non si lamenta, di chi non litiga e non si arrabbia mai ma accetta con serenità un destino infame, di chi conosce la carità e la misericordia e divide anche quel miserabile poco che ha.
La mattinata la passo dalle suore a pulire e sistemare la casa madre perché c'è uno sciopero. Io mi sento a casa qui. Il mio cuore è in pace. Sto bene.
Nel pomeriggio faccio un giro con Paolo al Millennium Park dove vedo sfilare famiglie benestanti con i loro figlioli e quasi mi consolo. Penso che forse il quartiere del mio Hotel è un'eccezione. Vedo Scorrere l'Hooghly e guardo estasiata quel capolavoro di architettura che è l' Howrah Bridge, il ponte che separa la stazione dei treni di Calcutta dal resto della città. Esco dal parco e mi ritrovo in un immenso slums che si propaga lungo le rive dell'Hoogly. Niente è cambiato. Altra zona stesse scene. Fuori dal parco tante persone con ogni tipo di deformazione che chiedono da mangiare.
Torniamo verso il nostro Hotel e conosciamo un bimbetto della strada, con un sorriso fantastico. Si chiama Samsa; gli regalo le bolle di sapone che ho portato dall'Italia: io non ho mai visto una persona tanto contenta di un regalo. In meno di un minuto finisco di distribuire le mie bolle di sapone alle mamme dei bambini, ai bambini: sono circondata!
Sono solo bolle di sapone....
In Italia non ci gioca più nessuno ormai.

 

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  • Ambra Turchetti
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  • Roma

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