Balkan Express : CROATIA

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Balkan Express

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Balkan Express

Regione: Bosnia, Sebia, Montenegro
Stato: CROATIA (HR)
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Balkan Express
L’ex-Jugoslavia on the road
Sole basso e caldo, estivo. Profumo di ginestra, d’erba bagnata e di terra arata, la Salaria scorre morbida e sinuosa sotto le ruote della vespa. Sabbia, vento, innumerevoli e monotoni paesi di riviera, l’Adriatica è noiosa e trafficata. Ancona mi viene incontro arrossata dal sole al tramonto. Salsedine, nafta, sartie marcescenti, prue e fumaioli. Si presenta così il porto, prima vera tappa di un tour a due ruote tra i resti della ex Jugoslavia. Notte lunga e mare calmo. Spalato al mattino mi accoglie con il campanile bizantino del palazzo di Diocleziano scintillante sotto il sole nascente, unica bellezza artistica di un’architettura cittadina dal tipico stampo socialista, con grandi palazzoni ed ampi boulevards. Pochi metri dal porto, l’insegna familiare di una nota marca italiana promette di soddisfare la voglia di un caffè e segnala l’avvenuta penetrazione economica italiana dello spazio ex-Jugoslavo.
Biossido di carbonio, catrame e prostitute ecco la Magistralni Put, lunga arteria di comunicazione che, costeggiando il litorale adriatico, collega Rijeka (Fiume, n.d.a.) alla montenegrina Podgorica. Pochi chilometri e lascio alle spalle i periferici ruderi industriali dell’era Titina. Le piccole case bianche del litorale spalatino pullulano di cartelli per l’affitto di camere ed appartamenti dal costo giornaliero di 100 kune a persona (15 euro circa). Il paesaggio urbano lascia spazio ai vigneti, agli uliveti, ai pini, ai cipressi, ai fichi e alle numerose isole della Dalmazia. 40 km a sud del capoluogo dalmatino e sono nella Makarska riviera. Alcune zone di macchia mediterranea annerite dal fuoco segnalano che la speculazione edilizia sta muovendo anche qui i suoi primi passi. Attraverso il fiume Cetina a Omiš. Piccole barche cariche di turisti risalgono la corrente per visitare il canion che l’acqua ha scavato nel corso di secoli. Attaccato dai crampi della fame faccio tappa in un ridente paesino, Baška Voda. La cortesia del simpatico gestore di un camping mette a tacere il mio brontoloso stomaco.
Impreco a lungo contro il terreno pietroso che piega i picchetti della tenda e raggiungo il mio ospite che ha già preparato un’abbondante piatto di “Gavuni”, lattarini fritti, caldi e croccanti, accompagnati da mezzo litro di vino rosso, leggero e fruttato. L’accostamento pesce vino rosso mi fa storcere il naso. A raddrizzarlo interviene Nicola che mi scruta attraverso gli occhiali scuri calati sul naso ed esclama sorridendo da sotto i baffi grigi da vecchio tricheco saggio: “Plava riba, crno vino”, “Pesce azzurro, vino rosso”.
Consumato il pasto saporito ed po’ebbro dall’ottimo vino mi concedo un po’ di mare. Il profilo dell’isola di Brac, famosa per la spiaggia di Bol e per le cave di pietra bianca, si staglia sinuoso dopo un breve braccio di mare. Mi tuffo nelle acque cristalline, profonde e fredde, ideali per chi pratica sport acquatici. Le montagne del parco nazionale di Bjokovo che si ergono maestose sulla testa lasciano intuire l’aspra orografia dei Balcani. Il giorno dopo la Magistralni Put mi accoglie con il profumo dei pini silvestri. I monti sfilano impervi sulla sinistra facendo da degno controaltare al mare scintillante ed al profilo scuro della lunga isola di Hvar sulla destra. Terza, quarta e poi di nuovo terza, la vespa sale agile per i tornanti in direzione Ploce. Un ennesima curva ed una serie di piccoli laghetti naturali si dipingono nel panorama.
La strada scende tranquilla verso le foci della Neretva. Canne palustri, folaghe, germani reali e qualche airone, odore d’acqua salmastra e pesce. Da una casa galleggiante un pescatore alza un braccio in segno di saluto. A Neum la continuità territoriale della Croazia viene interrotta, per 20 km, dall’unico accesso al mare della Bosnia Herzegovina. Per un tratto assai breve passo per due volte il confine tra Croazia e Bosnia toccando con mano gli effetti reali della geopolitica. In lontananza avverti già la presenza di Dubrovnik; l’antica repubblica di Ragusa che seppe resistere per due secoli (dal XVI al XVIII. n.d.a) alle pressioni ottomane e veneziane. La Placa, ampia e lunga strada in pavée circondata da palazzi rinascimentali, chiese e conventi barocchi, è il cuore pulsante della città. Il sole ormai al tramonto colora di rosa i marmi del palazzo dei Rettori, bello quanto quello dei Dogi a Venezia. “Pasport molim”, “passaporto prego”. Il poliziotto controlla i documenti, posa lo sguardo sulla vespa, sorride sardonico sotto il berretto verde oliva.
Sulle pagine del mio passaporto spicca, fiammante, il timbro montenegrino. Innesto la quarta ed apro il gas, cani randagi abbaiano inseguendomi minacciosi. Luce morbida, montagne impervie che chiudono uno stretto e sinuoso tratto di mare, le “Bocche di Cattaro” con i gabbiani e qualche nuvoletta, sono meglio di una cartolina. Più avanti le cupole a cipolla delle cattedrali ortodosse di Kotor (Cattaro n.d.a.) fanno da cartello per un altro confine, quello tra cattolicesimo ed ortodossia. Budva, Sveti Stefan, Petrovac mi vengono incontro con i loro monasteri. A Petrovac svolto a sinistra.
Caldo asfissiante, tornanti, camion e gas di scarico, arranco verso Podgorica. Una roulotte fa da chiosco e promette riposo e birra fresca. Sorpasso rapidamente le rovine industriali della periferia di Podorica (Titograd n.d.a) inoltrandomi nel cuore del Montenegro. Falchi, corvi, larici e pini, il Platije Kanjon intarsiato tra i monti dal fiume Moraca scorre sulla destra. Quarta, andatura costante, mi godo il panorama ripassando, di tanto in tanto, l’alfabeto cirillico con la segnaletica stradale. Sole alto e caldo, strani gorgoglii allo stomaco mi avvertono che è ora di pranzo. Avvisto una Gostionica (Hostaria n.d.a.), freccia e sono a tavola. Ordino una doppia porzione di saporiti Cevapcic, salsiccette di manzo speziate arrosto, servite con cipolla fresca e accompagnate da birra ghiacciata, sollievo infinito per la mia gola. Consumato il lauto pasto mi fumo una sigaretta godendomi il fresco della veranda e sorseggiando un caffè turco. Kolašin, Mojkovac, al bivio per Bijelo Polje consulto la cartina e tiro dritto per Berane. Sete, sole e sudore, bevo come un cammello finendo presto le mie scorte d’acqua. Una fonte di montagna mi viene incontro provvidenziale e fresca. Mercedes dalle targhe tedesche e dai colori improbabili riportano a casa chiassose famiglie rom, BMW scintillanti e metallizzate, compunti Gästarbeiter made in Germany. Da queste parti fortuna è sinonimo di Germania.
Campi coltivati, grano, pascoli e qualche piccolo vigneto la vespa scivola maneggevole in questa geografia agricola; nell’aria odore di fatica, sudore e sacrifici. La spia della benzina lampeggia, arancione, sul cruscotto; Berane e la stazione di servizio sono a pochi km. Faccio il pieno con 3 euro e 50, saluto il benzinaio che mi guarda come fossi Marco Polo e mi dirigo verso il confine con la Serbia. Da qui a la frontiera sarà un susseguirsi ininterrotto di gallerie male illuminate, paura e improvvisi cambi di luce. Nuovo timbro e nuovo confine a Špiljani. Bocca arida e strada deserta, alti nel cielo limpido i falchi volteggiano ingaggiando la rituale e quotidiana battaglia per la sopravvivenza con i piccoli mammiferi di terra. L’acqua si esaurisce rapidamente sotto il sole caldo del mezzo pomeriggio; due contadini fermi vicino al loro carro mi offrono la possibilità di irrigare la savana che ho in bocca. In lontananza sembra di udire la voce del Muezzin che scalda il cuore della Serbia mussulmana; il Sangiaccato e il suo capoluogo, Novi Pazar, mi attendono dietro le valli e le montagne dove i minareti segnano il confine tra Islam e “Cristhianitas”.
Traffico, semafori e continui cambi di marcia, pericolanti slalom tra le macchine, Novi Pazar mi accoglie con il suo caos cittadino dopo km di statale in semi solitudine. Musiche balcaniche

 

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  • Matteo Imperiali
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